ANNO 14 n° 120
Peperino&Co.
Cinquant'anni
di piccoli facchini
di Andrea Bentivegna
03/09/2016 - 02:00

di Andrea Bentivegna

È difficile spiegare a qualcuno cosa rappresenti il tre settembre per un viterbese. Per tentare di farlo quest’anno credo che sia utile partire da un’immagine.

Si tratta di una splendida foto vecchia ormai di cinquant’anni in cui si vede un manipolo di ragazzini vestiti da facchini che al passo di corsa trasportano un’approssimativa costruzione di cartone lungo la salita di un vicolo del centro di storico.

Potrebbe sembrare un gioco. Ridono in effetti, come è naturale per dei bambini di quell’età eppure ciò che stanno facendo è un atto di amore. La più sincera e spassionata dimostrazione di ciò che significa per un viterbese la festa di oggi. Nessuno di loro infatti avrebbe neppure lontanamente potuto immaginare che, a mezzo secolo di distanza, si sarebbe parlato ancora di quel giorno. Quella foto è a tutti gli effetti un pezzo di storia per la nostra città.

Era il 1966, il mondo stava cambiando e con lui anche questa festa secolare, l’anno successivo, per fare un esempio, si sarebbe assistito al drammatico esordio del Volo d’Angeli di Zucchi, una macchina che riscrisse le regole. Intanto però nella parrocchia di San Giovanni in Zoccoli un sacerdote appassionato, Don Sebastiano Fasone, aveva radunato nel cortile della chiesa della Crocetta un gruppo di “giovanotti” -come li si chiamava allora- con l’idea di organizzare un trasporto che vedesse protagonisti i bambini del quartiere.

Fu così che nacque, dalla passione di alcuni ragazzi e dalla generosità di pochi adulti, quella che oggi siamo tutti abituati chiamare Mini-Macchina del Centro Storico. Eh sì perché poi negli anni successivi altri piccoli facchini saranno protagonisti con la stessa passione anche in altri quartieri della città con manifestazioni simili; Ma tutto iniziò qui, tra le strade e i luoghi che la stessa Santa Rosa, molti secoli prima, attraversava durante la sua vita.

Cinquant’anni tra quelle vie suggestive e piene di storia, abbassandosi quasi carponi per passare sotto l’angusto archetto Torellini -il passaggio più impervio che limita l’altezza della Mini-Macchina- scendendo quindi la ripida via Dell’Orologio Vecchio fino alle affollatissime piazze delle Erbe e del Comune, poi il Corso e la mitica salita -ovviamente a passo di corsa-. Il tempo di esultare per lo sforzo appena compiuto e giù ancora verso via Mazzini passando dalla casa della Santa e dalla chiesa della Crocetta dove Rosa fu sepolta, concludendo infine questo emozionante sforzo a piazza Dante in un tripudio di gente.

Luoghi pieni di storia che in questo mezzo secolo sono rimasti impressi indelebilmente nella memoria di ciascun mini-facchino che li ha attraversati con la Macchina sulle spalle fiero di indossare quella sera il vestito bianco e la fascia rossa.

Eppure in questi cinquant’anni ci sono stati anche momenti difficili in cui la passione è stata messa alla prova dalle polemiche talvolta anche spiacevoli. Alcuni si domandarono ad esempio se fosse giusto che i bambini “giocassero a fare la Macchina di Santa Rosa”. Presto, fortunatamente, ci si rese conto che non si trattava di un gioco, tutt’altro, quei ragazzi non si vestivano da facchini per divertirsi ma per imitare i loro “eroi”, i loro padri. Una dimostrazione di fede ma anche la voglia di assomigliare “ai grandi”, quei Cavalieri che la notte del tre settembre rendono così straordinaria questa festa.

A dimostrazione di ciò tanti mini-facchini sono poi passati, da adulti, sotto la Macchina; Le Mini-Macchine sono infatti diventate negli anni una sorta di scuola che insegna ad esser Facchini. Non certo una palestra in cui si allenano i muscoli ma piuttosto un momento in cui formare quella passione, anzi devozione, che è il vero motore di tutto questo. E se per loro è importante lo è ancor di più per tutti quei ragazzi che pur essendo animati dalla stessa passione non sono diventati poi dei facchini: per loro quei trasporti compiuti da bambini rimarranno un’emozione irripetibile e indimenticabile.

Credo che per tutto questo dovremmo essere grati a quei “giovanotti” che cinquant’anni fa iniziarono questa avventura e a tutti gli altri che negli anni successivi li hanno aiutati a farla crescere rendendola quella che è oggi un pezzo cioè della storia di questa città e della sua festa.

 

 

 





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